IL SIGNIFICATO DEI “LEGAMI” NELLA TERRA DI MEZZO
Di Enrico Imperatori
Pubblicato su: Endore n° 14, 2012 (www.endore.it)
Quarta Parte
«Sono particolarmente fortunato ad avere un amico come te. Sento, se posso dire una cosa simile, che il nostro rapporto è simile a quello di Rohan e Gondor, e (come sai) da parte mia il patto di Eorl non sarà mai spezzato, e io continuerò sempre ad aver fiducia e a essere grato per la cortesia e la saggezza di Minas Tirith.»
Ronald Tolkien,
lettera a Rayner Unwin, 21 luglio 1967
3. LEGAMI CON LA TERRA, LA PATRIA E LA RAZZA
Il terzo tema analizzato è quello dei legami con la terra, la patria e la razza. Innanzitutto il folcloristico legame, se vogliamo anche un po' rustico, dell'agricoltore con la sua terra e con “la sua gente” che si evince nel Libro I – Capitolo IV (Una scorciatoia che porta ai funghi). Sto parlando ovviamente del sig. Maggot.
Il tema del legame con la terra, è notoriamente molto caro a Tolkien che per tutta la vita restò radicalmente, appunto, legato sentimentalmente alla sua residenza d’infanzia, nel villaggio di Sarehole, nell'Hall Green vicino a Birmingham. Una zona meravigliosamente agreste che ispirò e condizionò fortemente Tolkien nella creazione e nella configurazione della Contea.
“Hai il permesso di passeggiare per la mia proprietà quando ti pare e piace”. E: “....mostrando dietro di se ad ovest le mie terre, pensate un po'!” Per finire con: “Mi fa molto piacere vedere che avete avuto il buon senso di tornare a star qui nella terra di Buck. Vi consiglio vivamente di rimanerci. E cercate di non aver niente a che fare con tutta quella gente di fuori. Troverete parecchi amici da queste parti.”
Lo stesso tema si evince a proposito del misterioso personaggio: “Tom Bombadil” nel Libro I – Capitolo VI (La vecchia foresta). Molte cose si possono dire a proposito, o, più spesso, a sproposito su tale essere, ma per quanto riguarda questo saggio, basti evidenziare il legame ancestrale tra Tom Bombadil e la Vecchia Foresta. Lui ne è il messere ed il custode. Si tratta di un legame antico e assoluto. Di un dominio incontrastato, esempio lampante di legame totale, ma, totalmente, positivo.
Per quanto riguarda invece il concetto di legame relazionale tra le varie razze che popolano, convivendo pacificamente, e con proficuo, reciproco interesse, il paese di Brea ed il suo luogo più significativo, la locanda del «Puledro Impennato», si deve vedere il Libro I – Capitolo IX (All'insegna del «Puledro Impennato»):
“.....Tuttavia i loro rapporti con gli Hobbit, gli elfi, i nani e gli altri abitanti del mondo circostante erano più intimi e amichevoli di quanto non fossero (e non siano tuttora) in generale i rapporti abituali alla Gente Alta”.
Ora, nel Libro II – Capitolo III (L'Anello va a sud) viene trattato per la prima volta il legame ricorrente (che ritroveremo spesso nel romanzo), dei vari personaggi per la loro terra (patria) e per i loro congiunti.
In questo capitolo Gimli esprime il forte legame della propria razza, e suo in particolare, per la terra dei suoi padri:
«Non ho bisogno di mappe», disse Gimli, avvicinatosi assieme a Legolas, guardando fisso innanzi a se con una strana luce negli occhi profondi. «Quella è la terra ove i nostri padri lavoravano anticamente, e l'immagine di quelle montagne l'abbiamo intagliata in molti lavori di pietra e di metallo, nonché descritta in molti canti e poemi. Esse spadroneggiano nei nostri sogni: Baraz, Zirak, Shathûr» Fu così che Bill partì quale bestia da soma, eppure di tutta la compagnia era l'unico a non aver l'aria depressa”.
Quello appena illustrato è chiaramente un legame che non conosce confini, né limiti, né tempo. In questo capitolo questo concetto viene ben illustrato da Galadriel:
“«Non pentirti di aver accolto il Nano. Se il nostro popolo avesse conosciuto un lungo esilio lontano da Lothlórien, quale dei Galadhrim passerebbe nelle vicinanze senza il desiderio di vedere l'antica dimora, fosse anche divenuta un covo di draghi? Nemmeno Celeborn il saggio vi riuscirebbe».”
Per quanto riguarda i legami con la terra e, per estensione, con la natura, una menzione particolare deve essere fatta per il nostro Barbalbero. La sua comparsa ne Le Due Torri che lascerà un segno profondo e fondamentale nel prosieguo del romanzo, introduce il meraviglioso e ancestrale rapporto tra gli alberi ed i loro custodi primigeni.
Il particolare legame di Tolkien con gli alberi è sempre stato evidente e molto forte e si rintraccia senza ombra di dubbio nella creazione di quelle meravigliose creature che sono gli Ent, i pastori degli alberi. Personalmente mi delizia credere che, in fondo, a Tolkien piacesse davvero fantasticare sul fatto che gli alberi, in tempi remoti, fossero stati dotati di afflati vitali.
“ «Gli alberi e gli Ent», rispose Barbalbero. «Io stesso non comprendo tutto quel che accade, per cui non ve lo posso spiegare. Alcuni di noi sono ancora veri Ent, ed abbastanza vivaci a modo nostro; ma parecchi si stanno addormentando; voi direste che incominciano a vegetare.
La maggior parte degli alberi non sono che alberi, naturalmente; ma molti sono semi-svegli. Alcuni sono svegli del tutto e qualcuno sta diventando entesco. E ciò avviene costantemente».
......«Siamo i pastori degli alberi, noi vecchi Ent. Ma ormai siamo rimasti in pochi. Le pecore diventano simili ai pastori, e i pastori alle pecore, dicono; ma è un processo lento, e né le une né gli altri sono al mondo da molto tempo. Invece per gli alberi e gli Ent accade molto più rapidamente, ed essi attraversano i secoli insieme».”
Secondo la mia modesta opinione Tolkien stesso sarebbe stato un magnifico Ent, e forse non gli sarebbe dispiaciuto esserlo.
A questo punto della trattazione, non posso esimermi dal riportare qui le poetiche e delicatissime parole di Tolkien, con le quali descrive il legame tra Gimli il nano e il mondo sotterraneo, mondo dal quale proviene e dal quale trae linfa vitale. Un passaggio che ritengo molto significativo in quanto restituisce a Gimli il valore poetico, e non solo pratico e rude, che, consentitemi la parentesi, gli è stato defraudato completamente nella versione cinematografica de Il Signore degli Anelli. Gimli racconta a Legolas:
“«Vi sono colonne di bianco, di zafferano e di rosa-alba, Legolas, plasmate e modellate in forme di sogno; sorgono da pavimenti di mille colori per avvinghiarsi agli scintillanti soffitti: ali, corde, tende fini e trasparenti come nuvole ghiacciate; lance, bandiere, pinnacoli di palazzi pensili! Laghi tranquilli riflettono la loro immagine; un mondo sfavillante si affaccia dagli scuri stagni coperti di limpido vetro; città, che la fantasia di Durin avrebbe difficilmente immaginato in sogno, si stendono con viali e cortili circondati da colonnati, sino alle oscure nicchie ove non penetra la luce. D'un tratto, clic!, cade una goccia d'argento e i cerchi increspati sul vetro fanno curvare e tremare ogni torre come alghe e coralli in una grotta del mare. Poi giunge la sera: le visioni sbiadiscono e scompaiono scintillando; le fiaccole passano in un'altra stanza, in un altro sogno. C'è una camera dopo l'altra, Legolas: un salone che dà su un altro salone, una scalinata su un'altra scalinata, una cupola dopo l'altra, e mai i serpeggianti sentieri interrompono la loro corsa verso il cuore della montagna».”
E ancora, a riprova di quanto appena detto, riporto di seguito un passo di una ulteriore conversazione tra Legolas e Gimli che mi pare particolarmente interessante in quanto dimostra, ancora una volta, il sentire che “lega” i nani alla roccia e alla bellezza dei “frutti” della stessa finanche al lavoro che la plasma, contrastante con l'immagine di avidità e cupidigia con la quale i nani vengono solitamente dipinti, senza possibilità di appello:
“«No, non capisci», disse Gimli. «Non vi è Nano che rimarrebbe impassibile innanzi a tanta bellezza. Nessun discendente di Durin scaverebbe quelle caverne per estrarne gemme e minerali, nemmeno se vi fossero diamanti e oro in abbondanza. Abbatti tu, forse, boschetti di alberi in fiore per raccoglier legna in primavera? Noi cureremmo queste radure di pietra fiorita, non le trasformeremmo in miniere. Con cautela e destrezza, un colpetto dopo l'altro, un'unica piccola scheggia di roccia e nient'altro, forse, in tutta una giornata ansiosa: tale sarebbe il nostro lavoro, e col passar degli anni apriremmo nuovi sentieri, scopriremmo nuove stanze lontane e ancor buie che s'intravedono ora come un vuoto dietro fessure nella roccia. E le luci, Legolas! Creeremmo luci, lampade come quelle che risplendevano un tempo a Khazad-dûm; e secondo il nostro desiderio potremmo allontanare la notte che sommerge le caverne da quando furono innalzati i colli, o lasciarla rientrare per cullare il nostro riposo»” .
In merito al tema del legame con le origini, andando all'ultimo volume de Il Signore degli Anelli, vi è un passo molto interessante, che forse potrebbe passare inosservato ad un lettore superficiale. Si tratta di un passaggio che spiega il legame profondissimo e primordiale tra la razza degli elfi, alla quale appartiene Legolas, ed il mare. Tale legame quindi richiama a legami indissolubili e ancestrali con la stirpe e con il passato fino a giungere alla creazione del mondo e dei primi-nati. Per chi ha letto, altri testi di Tolkien e, tra gli altri, il Silmarillion, non sembrerà strano o curioso leggere, ne Il Signore degli Anelli questo passo:
“Legolas taceva mentre gli altri parlavano e, guardando in direzione del sole, vide dei bianchi gabbiani risalire in volo il corso dell'Anduin. «Guardate!», gridò. «Gabbiani! Stanno volando verso l'interno. Sono per me causa di stupore e di turbamento. Non li avevo mai incontrati nel corso della mia vita prima di arrivare a Pelargir, ove li udii gridare nell'aria mentre noi andavamo a combattere le navi. Allora mi fermai, dimentico della guerra nella Terra di Mezzo, perché le loro voci malinconiche mi parlavano del Mare. Il Mare! Ahimè! Ancora non ho potuto ammirarlo! Ma nel profondo del cuore di tutta la mia razza vive il desiderio del Mare, un desiderio pericoloso se destato. Ahimè, il ricordo dei gabbiani! Non avrò più pace sotto olmi e betulle!».”